«Troppo disturbati per arrestarli» –  La Verità 30.6.19

Il gip choc sui terapisti indagati. «Troppo disturbati per arrestarli»

Almeno cinque professionisti al centro del sistema Val d’Enza hanno scampato i domiciliari perché risultano traumatizzati da violenze sessuali in tenera età. Questo però rivela in che mani siano finiti decine di bambini.
di Maurizio Tortorella – La Verità 30 giugno 2019 

Poveretti, gli indagati nell’inchiesta «Angeli e demoni» di Reggio Emilia. Poveretti, perché anche alcuni di loro hanno avuto «esperienze traumatiche nell’infanzia, simili a quelle patite dai minori» sui quali – secondo la Procura – tra 2016 e 2018 hanno esercitato terribili pressioni e inaudite violenze psicologiche.
Non finisce davvero più di stupire, l’inchiesta emiliana che da tre giorni sconvolge l’Italia. Da quell’indagine, che ha al centro il Comune di Bibbiano, per strati successivi sta uscendo il nero quadro di un «sistema criminale» fatto di pubblici amministratori, assistenti sociali e psicologi interessati soltanto a strappare bambini alle famiglie d’origine per assegnarli ad altre famiglie o collocarli in centri d’affido temporaneo: ma sempre inventando abusi inesistenti, o certificando false situazioni di disagio e di pericolo.

Alcuni indagati, però, hanno meritato un’attenzione particolare. E proprio per il loro sofferto vissuto. Nell’ordinanza firmata il 27 giugno dal giudice per le indagini preliminari, Luca Ramponi, si scopre infatti che nella richiesta originaria il pubblico ministero, Valentina Salvi, aveva sollecitato misure cautelari per un numero superiore di indagati: su 27, secondo la pm quelli ristretti agli arresti domiciliari non avrebbero dovuto essere soltanto otto, com’è accaduto, ma di più. Il sostituto procuratore Salvi era stata convinta dall’evidenza e dalla gravità dei fatti che le gravi lesioni psicologiche ed esistenziali subite dai bambini nelle sedute con gli psicoterapeuti avessero origine dolosa e meritassero misure adeguate.

Il giudice Ramponi dà una lettura diversa, più garantista: forse è corretta, ma comunque lascia esterrefatti. Perché molte pagine della sua ordinanza sono dedicate, ancor più che all’analisi dei fatti, a indagare nella psiche degli indagati. E perfino nel loro vissuto personale. Il giudice scrive di aver raccolto testimonianze e informazioni dalla polizia giudiziaria, dalle quali emerge che «pressoché tutti gli indagati per lesioni personali» hanno alle spalle gravi storie di sofferenza.

Quello che emerge è uno sconcertante quadro clinico «ambientale». Il giudice Ramponi rivela che un’indagata «risulta aver ricordato uno stupro di gruppo subìto quando era piccola, oltre ad avere un passato di dipendenza dall’alcool». Che altri due indagati «risultano aver subìto maltrattamenti dal padre quando erano piccoli». Una quarta indagata, «cui il marito rimprovera una latente omosessualità, motivo di tensione da parte della donna», nell’infanzia è stata a sua volta maltrattata dal padre, per di più «alcolizzato». Una quinta indagata per fortuna non pare avere storie di violenze infantili, ma comunque non può essere proprio serenissima sul tema «minori e abusi» dato che «risulta aver gestito la situazione del figlio minorenne, vittima di un episodio di molestie verosimilmente di tipo sessuale in ambito scolastico».

Ecco, se questa è la truppa di tecnici, amministratori e terapeuti che avrebbe dovuto decidere in pieno equilibro e in punta di diritto sulla sorte dei poveri bambini di Bibbiano e dintorni, c’è da domandarsi come mai soltanto poche centinaia di loro negli ultimi anni siano finiti nel labirinto della giustizia minorile. Si trasecola, letteralmente, di fronte alla descrizione di tanti problemi e pensando ai disturbi di cui potrebbero essere causa. Ma il giudice Ramponi fa il giudice, e ne trae motivo per non calcare troppo la mano: «Tali esperienze pregresse», scrive Ramponi, «rendono difficile ipotizzare che (gli indagati, ndr) possano avere accettato, quale conseguenza del proprio comportamento, che ai minori loro affidati fosse arrecato danno o si ingenerassero addirittura malattie psichiche, visti i propri intimi e personali trascorsi».

Quindi è per questo «vissuto di sofferenza» se Ramponi non accoglie fino in fondo la tesi accusatoria della Procura. «È ragionevole considerare», scrive il giudice, «che il vissuto personale e la storia famigliare li abbiano condizionati, rendendoli arrendevoli al pregiudizio di considerare aprioristicamente sussistenti gli “abusi” sospettati su ogni minore». Per questo psicologi e assistenti sociali erano sempre così «estremamente zelanti nella ricerca incessante dell’ipotesi preconizzata (cioè gli inesistenti abusi sessuali, ndr) fino a voler alterare coscientemente la formazione del convincimento giudiziario», cioè falsare le prove da portare ai giudici minorili.

Il giudice sottolinea un altro motivo, e cioè che gli assistenti sociali, legati agli psicologi dall’appartenenza a una medesima scuola di «abusologia» incline a vedere ovunque molestie sessuali, agivano «influenzati da un pregiudizio» e da «aprioristiche convinzioni in tema di abusi», e per questo sceglievano sempre gli stessi gli psicologi, per l’appunto quelli immancabilmente «colpevolisti» del centro piemontese Hansel e Gretel (in prima linea il fondatore Claudio Foti e la sua compagna Nadia Bolognini). Il giudice scrive che tutti «operavano fermamente convinti della superiorità del proprio metodo».
Personalità disturbate, complessi di superiorità, pregiudizi e scuole di pensiero. Non c’è che dire: se il giudice Ramponi certifica il vero, c’è un bel mix al tritolo nella testa di chi s’impanca a essere terapeuta e arbitro della vita di poveri bambini (e delle loro famiglie). Vogliamo dire che urge un intervento? Che certe assurdità vanno fermate una volta per sempre? O la politica continuerà a fare finta di non vedere?

Fonte/Credits: Maurizio Tortorella – La Verità 30 giugno 2019 

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